IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA
   Riunito in camera di consiglio per deliberare in merito al  reclamo
 avverso  l'applicazione del regime detentivo, di cui all'art. 41-bis,
 secondo comma, della legge  26  luglio  1975,  n.  354  e  successive
 modificazioni, presentato dal condannato Santangelo Salvatore nato il
 20  febbraio 1946 ad Adrano (Catania) attualmente ristretto presso la
 casa  circondariale  di  Ancona,  in  espiazione della pena detentiva
 dell'ergastolo comminata con sentenza pronunciata in data  17  giugno
 1992  dalla  corte di assise di Catania in relazione a fattispecie di
 associazione per delinquere di stampo mafioso, concorso  in  omicidio
 ed altro.
    Sentiti il p.g. ed il difensore dell'interessato, che concludevano
 come  in atti ed a scioglimento della riserva questo collegio osserva
 che la questione sollevata da Santangelo  Salvatore  non  possa  allo
 stato  essere  definita nel merito, apparendo pregiudiziale sollevare
 eccezione di illegittimita' costituzionale del disposto  del  secondo
 comma   dell'art.   19   del   d.l.   n.  306/1992,  convertito  con
 modificazioni dalla legge n. 356/1992. Preliminarmente occorre  pero'
 porre in sintetica evidenza i problemi inerenti alla giurisdizione ed
 alla competenza di questo collegio.
    Quanto    al    primo    punto,    nonostante    quanto   eccepito
 dall'amministrazione  penitenziaria  in  relazione  alla  assenza  di
 apposita   previsione  legislativa  di  uno  strumento  di  controllo
 giurisdizionale affidato alla magistratura  di  sorveglianza  avverso
 l'atto  ministeriale  di  applicazione  del  regime di cui al secondo
 comma dell'art. 41-bis, ritiene questo tribunale che nel caso di spe-
 cie debba essere affermata la giurisdizione  dell'a.g.o.  anche  alla
 stregua  di  quanto statuito dalla sentenza t.a.r. Lazio 13 settembre
 1984, n. 771; in detta sentenza veniva da parte del t.a.r. negata  la
 propria   giurisdizione   in   capo  al  reclamo  avverso  il  regime
 dell'allora vigente art. 90,  trattandosi  di  situazioni  giuridiche
 soggettive  riconducibili  ai diritti. Si giungerebbe pertanto ad una
 situazione  paradossale,  costituita  dall'assenza  di   qualsivoglia
 rimedio  giudiziale  contro  l'emanazione  di decreti ministeriali di
 inflizione del regime  detentivo  di  cui  all'art.  41-bis,  secondo
 comma, che prevede restrizioni quasi del tutto coincidenti con quelle
 disposte in applicazione del regime di cui all'art. 90.
    Quanto  al  problema della competenza, questo collegio ritiene che
 debba individuarsi nel tribunale di  sorveglianza  e  non  appartenga
 quindi  al  magistrato  di  sorveglianza  in  qualita'  di  organo di
 giustizia  monocratico.  Cio',  alla  stregua  di   quanto   disposto
 dall'art.  14-  ter dell'o.p. in materia di reclamo avverso il regime
 di  sorveglianza  particolare  (alla  cui  disciplina  ci   si   deve
 richiamare  per  analogia)  e  piu'  in generale in base al principio
 enucleabile del  combinato  disposto  di  cui  agli  artt.  69  e  70
 dell'o.p.,  che  individua  la  competenza  dell'organo collegiale in
 tutti quei casi in cui la delicatezza e la complessita' della materia
 hanno fatto ritenere piu' opportuno al legislatore la  individuazione
 della competenza in capo al giudice collegiale.
    Quanto   alla   ammissibilita'   del   reclamo,   con  particolare
 riferimento  alla  tempestivita'   dello   stesso,   occorre   ancora
 richiamarsi  alla  applicabilita', in via analogica, della disciplina
 dettata dall'art. 14- ter dell'o.p. che prevede il termine  di  dieci
 giorni   per   poter   proporre   reclamo   contro  il  provvedimento
 dell'amministrazione penitenziaria. Stante  tale  statuizione  appare
 evidente  come  il  reclamo presentato debba considerarsi ammissibile
 sotto il profilo della tempestivita'. Venendo alla  pregiudiziale  di
 costituzionalita'  questo collegio ritiene, quanto alla non manifesta
 infondatezza della questione, che quanto disposto dal  secondo  comma
 dell'art.  41-  bis  dell'o.p. sia sotto diversi profili confliggente
 con ben determinati parametri costituzionali.
    Innanzitutto la illegittimita' costituzionale si manifesterebbe in
 relazione  al  secondo  comma  dell'art.  13  che contiene una doppia
 riserva, di legge e giurisdizionale, riguardo  la  ammissibilita'  di
 forme di detenzione e in genere di restrizione di liberta' personale.
    Infatti   l'ampia  formulazione  della  clausola  di  chiusura  di
 "qualsiasi altra forma di restrizione della  liberta'  personale"  e'
 tale  da  ricomprendere  anche  tutte  quelle situazioni in cui ad un
 soggetto (gia' sottoposto a privazione della liberta'  personale  per
 legittimo provvedimento giurisdizionale) vengano appicate restrizioni
 ulteriori rispetto a quelle costituenti l'ordinario regime detentivo.
    Appare  infatti evidente come il concreto contenuto precettivo del
 regime  applicato  ex  art.  41-bis,  secondo   comma   integri   una
 fattispecie  di  restrizione della liberta' personale del detenuto il
 quale vede ulteriormente compressi i propri spazi residui di liberta'
 personale  rispetto  all'ordinario  regime  detentivo.  Pur   volendo
 prescindere  da  ogni  giudizio  di  merito  circa  la validita' e la
 efficacia  di  tali  restrizioni  in  relazione  alla  finalita'   di
 contrasto  della criminalita' organizzata che con essa il legislatore
 nell'ambito della sua ampia discrezionalita', si e' riproposto,  cio'
 che   si  vuole  evidenziare,  al  fine  della  sottoposizione  della
 normativa  al  vaglio  della  Corte  costituzionale,  e'  che   dette
 restrizioni  vengano  applicate  con  atto  della  p.a. senza che sia
 previsto neanche un successivo intervento, da parte  della  autorita'
 giudiziaria,  circostanza questa che appare in evidente contrasto con
 il  disposto  del  richiamato  secondo  comma  dell'art.   13   della
 Costituzione.
    La  normativa  di  cui  al  secondo comma dell'art. 14- bis appare
 inoltre in contrasto con il  principio  di  rieducazione  della  pena
 detentiva  di  cui al terzo comma dell'art. 27 della Costituzione; se
 infatti per "rieducazione" si deve intendere  il  raggiungimento  del
 reinserimento  sociale del reo, e' evidente come la sottoposizione di
 alcuni detenuti, selezionati semplicemente in base al titolo di reato
 in espiazione, ad un regime indiscriminatamente sanzionatorio risulta
 in contrasto con il principio di individualizzazione  dell'esecuzione
 penale.  Infatti  mentre sarebbe comprensibile l'applicazione del re-
 gime detentivo in questione nei  confronti  di  soggetti  riottosi  o
 refrattari  ad  ogni tipo di trattamento rieducativo, al contrario si
 contesta che la formulazione della norma in  esame  non  tiene  alcun
 conto  dei  pregressi penitenziari del detenuto assegnando un rilievo
 pressoche' assorbente al titolo di reato, tanto da neutralizzare ogni
 eventuale iter educativo gia' positivamente intrapreso  dal  soggetto
 sottoposto al regime di cui all'art. 41-bis, secondo comma.
    Inoltre  la sospensione del regole di trattamento e degli istituti
 disciplinanti della legge di riforma  dell'o.p.  per  un  periodo  di
 tempo  rilevante,  implica  la  rinuncia  ad ogni intervento statuale
 inteso a rimuovere le eventuali cause  di  disadattamento  alla  base
 della  devianza  facendo  venir meno quel trattamento rieducativo che
 costituisce un vero  e  proprio  diritto  del  condannato  (v.  Cass.
 sezione prima, 1½ luglio 1981).
    Pertanto il disposto del secondo comma dell'art. 41- bis appare in
 contrasto  anche  con  il  dettato del terzo comma dell'art. 27 della
 Costituzione.
    Quanto  alla  rilevanza  delle suesposte questioni di legittimita'
 costituzionale, non sembra necessario soffermarsi oltre, posto che il
 giudizio instaurato dinanzi a questo collegio  e'  inteso  al  vaglio
 della  legittimita'  dell'operato  dell'amministrazione penitenziaria
 nella sottoposizione del detenuto al regime detentivo di cui all'art.
 41-bis, secondo comma dell'o.p.: tale normativa costituisce la  fonte
 del  decreto  del Ministero di grazia e giustizia adottato in data 25
 novembre 1992, sicche' il giudizio di legittimita' dell'operato della
 p.a. comporta necessariamente  una  disamina  dell'atto  rispetto  al
 citato   parametro   legislativo.   Pertanto  appare  chiaramente  la
 rilevanza delle prospettate questioni di legittimita'  costituzionale
 dell'art. 41-bis, secondo comma, dell'o.p.